“Ho sbagliato tutto.”
Questa frase è stata il mio mantra per anni. Ogni volta che qualcosa non andava secondo le mie MAS (Massime Aspettative Supreme), eccola lì: sottile, pungente, attaccabrighe.
Parole semplici e potenti che riflettono tutto il mio egocentrismo da leone ascendente leone e la convinzione che, se qualcosa non va come spero, è sicuramente colpa mia.
Negli anni il mantra si è ammorbidito ed è diventato “Ho sbagliato quasi tutto”.
Quel quasi mi rassicura. Mi fa mollare la presa su un controllo che non ho mai davvero avuto. Presuppone che, tra tutte le cose sbagliate, qualcuna - magari per sbaglio - l’ abbia azzeccata.
Apre uno spiraglio di sfumature che voglio impegnarmi ad abitare.
Perché non siamo mai tutti giusti o tutti sbagliati, perché non sempre c’è un motivo se le cose vanno in un certo modo. E soprattutto, perché non dipende quasi mai solo da noi, anche se facciamo del nostro meglio.
L’ultima volta in cui il mantra (ammorbidito) è tornato a farmi visita è stata poco più di una fa settimana. Anche se da fuori “non sembrava”.
Ma andiamo con ordine…






Dietro le quinte, per davvero
Ora tu vedi queste foto e potresti pensare che ero molto felice e sorridente. E hai ragione, in quel momento lo ero.
L’energia che si è creata durante l’evento è stata bellissima: sono nati spunti, riflessioni e condivisione preziose.
Oggi, però, voglio parlarti di quello che non si vede. Che non significa mostrarti la mia coffee routine del mattino, anche perché io bevo la tisana pure in piena estate.
Ciò che non si vede è la vocina che, fino a pochi giorni prima dell’evento, mi diceva: “Hai sbagliato quasi tutto.”
Perché - nella mia testa - non c’erano abbastanza iscritti, perché l’avevo promosso troppo tardi, perché chissà se gli esercizi piaceranno, perché mi aspettavo una partecipazione diversa e bla bla bla.
Alla fine, non importava nemmeno il perché, contava solo trovare il motivo di quell’apparente fallimento mai avvenuto.
Oggi, da persona quasi-saggia e quasi-equilibrata, mi dico: è andato tutto bene, hai capito cosa migliorare per le prossime volte e lo farai.
È inutile rimproverarsi le cose sbagliate. Ne faremo delle altre.
Natalia Ginzburg, Lessico Famigliare
Forse non dovrei raccontarti tutto questo. È è più rassicurante l’idea di una professionista solare e sempre sicura di sè, ma io credo nella comunicazione come mezzo per mostrare ciò che non si vede e per far sentire gli altri un po’ meno soli.
E quando si pensa di aver sbagliato tutto - o quasi - di solito ci si sente molto soli.
L’errore come atto creativo
Se ci penso, senza errori il mio lavoro non esisterebbe.
Ti faccio qualche esempio:
Qualche settimana fa ho presentato delle proposte di naming per un brand del settore automobilistico. Una sfida entusiasmante, che mi ha messo a confronto con un mondo praticamente sconosciuto e mi ha fatto scoprire che il palomino è un mantello equino color ocra dorato (si scoprono un sacco di cose dando nomi alle cose). Alla fine, il cliente ha scelto una delle quattro proposte: il che presuppone che ha scartato tutte le altre. E prima di arrivare a quelle quattro, io stessa ne ho scartate molte di più.
Sto lavorando al tono di voce di due brand in partenza: uno nel settore sport e benessere, l’altro in ambito turistico. In entrambi i casi, ci sono volute diverse esplorazioni per arrivare al cuore della comunicazione. Abbiamo cancellato frasi, riscritto messaggi, cesellato parole e fatto emergere le giuste sfumature.
Insomma, scrivere e comunicare è un lavoro di scavo e costruzione continua. Senza aggiungere e senza togliere, semplicemente con l’intenzione di svelare un’essenza comunicativa che già c’è.
In questo processo, l’errore diventa un gesto creativo necessario.
Non perché sia bello sbagliare, ma perché spalanca nuove domande da abitare. Ti costringe a scendere più in profondità, a parlare alle persone che hanno bisogno di sentire proprio quelle parole.
Esercizi che sono domande
Da La casa del mago, di Emanuele Trevi:
Più invecchio, più realizzo che aveva ragione mio padre, mi sento sempre meno vero e sempre meno falso. C’è qualcosa lì in mezzo. Ho imparato ad avere fede nelle cose che accadono due volte, che rimangono sospese a metà di un’alternativa. Quando mi sento felice, per esempio la mattina appena sveglio, immagino che dita sottili e invisibili, delicate come dovrebbero essere quelle degli angeli, abbiano sciolto durante la notte i nodi delle contraddizioni e delle decisioni. Forse nei sogni che faccio e dimentico ci sono coppie di eventi che volteggiano nell’anima come colombe innamorate, come note ribattute.
Questo libro mi ha trafitto, mi ha fatto sorridere e anche tanto pensare. Una miscela di poesia, autoironia e nostalgia che mi ha lasciata in una sfumatura indefinita di colori che cercano di trovare posto in prima fila.
E tu, quali sfumature puoi accogliere nella tua scrittura e nella tua comunicazione? Come puoi sentirti “sempre meno vero e sempre meno falso” per accogliere quel qualcosa di mezzo?
Se ti va, come sempre, ti leggo.
Come è diverso vedersi da dentro ed essere percepite fuori. Il workshop è stato un successo perché sei brava. Pure se non le azzecchi tutte, te lo dice un leone cuspide vergine eh. È bello leggerti 😊
Proprio ieri, mentre lavoravo a un contenuto, mi sono sentita sempre meno vera e sempre meno falsa. E quindi, questa espressione è davvero calzante.
Non sapevo definire quella strana sensazione che ti dà l'essere una persona con un'etica prepotente e pure una che DEVE "promuoversi" per lavorare e sostentarsi (che tra l'altro è parte di quello che vendo).
C'è una linea sottile, che separa la verità (o l'autenticità) dal falso (il costruito).
E restare in bilico tra un lato e l'altro presuppone una continua tensione.
Vuoi dire qualcosa? Devi (anche) essere coinvolgente, convincente, qualcos'altro -ente.
Poi arriva questa frase, oggi.
E mescola tutto con energia, come quando giri il minestrone e lui, anche dopo che hai tolto il cucchiaio di legno, continua a girare da solo.
E rallenta. E ti mesmerizza.
Non c'è nessuna linea che divide! Care le mie patate, carote e zucchine...
Man mano che si diventa "grandi", questa linea si ammorbidisce, si amalgama su se stessa.
Rimane solo la consapevolezza di non essere indistruttibili, insuperabili, infallibili.
E va (cazzo) bene così!
V.