E. ha scritto un messaggio sul canale Telegram che mi ha colpito:
Di cosa voglio scrivere? Di me che penso di scrivere? Fa ridere. Però di me che non so ancora bene cosa cerco, che sono sicura di ciò che non voglio e di quello che voglio cambiare, be’ questo mi sembra più sensato. Della crisi di mezza età? Del tempo che avanza e che per fortuna mi porta con sé? Delle difficoltà della vita? Più leggo e più trovo bello come scrive chi leggo. Ci riuscirò anche io? Voglio scrivere come una donna? O come un uomo? Esiste uno scrivere come donna o si è scrittori e basta, persone?
Queste domande mi hanno fatto riflettere. Mi sono posta anch’io interrogativi simili quando ho iniziato a raccontare il mio lavoro su Instagram, a progettare questa newsletter e ogni volta che voglio scrivere una storia. Chiedersi cosa si ha da dire è il primo passo per guardarsi dentro e portare la propria voce nel mondo.
Nella scorsa puntata abbiamo visto che l’ispirazione creativa è sempre intorno a noi: basta osservare. Possiamo osservare fuori, ma possiamo soprattutto osservare dentro.
Se vuoi scrivere, probabilmente è perché pensi di avere qualcosa da dire. Non si tratta solo di parole: è la possibilità di portare un nuovo sguardo sul mondo, di dare voce a sentimenti comuni, di creare connessioni. Ma la domanda più urgente è: cos’hai davvero da dire?
Come dico spesso nelle consulenze di scrittura di brand, la comunicazione non è per chi ha qualcosa da vendere, ma per chi ha qualcosa da dire. Che sia un prodotto o una storia, tutto parte da un messaggio in cui credere davvero. La scrittura di brand e quella narrativa si intrecciano: entrambe raccontano storie universali, capaci di creare relazioni. Senza storie non c’è relazione, e senza relazione non c’è azione, non c’è cambiamento.
Esercizio: le cose che hai da dire
L’esercizio che ti propongo oggi è ispirato a un testo del 2001 di Sandro Veronesi, intitolato proprio Le cose che ho da dire. Te lo riporto qui.
Ho da dire di uno yuppie che passa le giornate davanti alla scuola dove va la figlia; di un bambino down che passa sul marciapiede per mano alla madre, e che si volta lentissimamente, ma per lui di scatto, quando una macchina parcheggiata viene aperta col bip del comando a distanza; ho da dire delle automobili in mostra negli aeroporti, inchiodate sulle loro pedane oblique e girevoli, e delle ragazze con la minigonna e le calze velate che fanno loro compagnia, inchiodate anch’esse ai loro sgabelli; ho da dire tutto quello che so sui soldi, e soprattutto quello non so ancora; dei temporali elettrici d’oggigiorno, che fanno scattare gli allarmi delle macchine a ogni fulmine che cade, e sembra d’essere in mezzo a un bombardamento; delle sigarette che non riesci a spegnere, e per quanto le acciacchi rimangono accese; degli scherzi che ha fatto il cervello a me, ai miei amici, alle mie amiche, agli uomini delle mie amiche e alle donne dei miei amici; della spaventosa autonomia con cui può verificarsi l’erezione… del fare l’amore all’aperto, ho da dire, perchè è immensamente meglio che farlo al chiuso; delle straordinarie ondate di caldo in autunno e in inverno; della bellezza di certi proverbi, e in particolare di questo: “un conto è recintare il pollaio e un conto è prendere la volpe”; della straordinaria sensazione di libertà derivante dal non credere in Dio, della quale nessuno dice mai… della bellezza soverchiante di certi momenti in cui non accade assolutamente nulla… del fatto che non siamo mai veramente soli, siamo solitari; dell’entropia… della differenza che c’è (se c’è) tra scopare temendo di svegliare i genitori e scopare temendo di svegliare i figli; della fatica che si fa a riconoscere d’aver sposato la persona sbagliata; dei tre stadi dell’alienazione secondo Calvino e del fatto che secondo me ormai siamo più o meno tutti al terzo stadio: primo stadio, sono al lavoro e sogno di essere al mare; secondo stadio, sono al mare e sogno di essere al lavoro; terzo stadio, sono al mare e sogno di essere al mare. Queste sono alcune delle cose che ho da dire, e siccome per scrivere bisogna dire, e io ho bisogno di scrivere, le dirò.
Le cose che hai da dire sono le tue ossessioni: ne parleresti per ore, con parole sempre diverse, ma ti toccano sempre lì, nel tuo sentire tuo profondo.
Sono urgenti: non puoi e non vuoi aspettare.
Riguardano le tue esperienze e i tuoi conflitti più intimi, quelli che ti hanno cambiato la vita e per cui, probabilmente, senti di avere qualcosa da dire.
Sono le storie in cui ti identifichi: personali, specifiche, ma allo stesso tempo universali.
Sono vere, preziose perché contengono il tuo vissuto. Forse sono ciò che la gente forse non si aspetta da te e proprio per questo sono così potenti. Sì, dovresti proprio dirle.
Quindi, quali sono le cose che hai da dire? Fai una lista.
Non serve essere esaustivi, ma sii onesto/a: cosa ti tocca così profondamente da non poter tacere?
Annota ciò che ti ossessiona: emozioni, immagini, frasi, situazioni
Lascia che emergano senza filtri
Scegli quelle che ti sembrano più urgenti e scrivile
Se ti va, condividi il tuo testo sul canale Telegram. Sono curiosa di leggere le storie che senti di avere dentro.
Una traccia sonora per scrivere
Per scrivere questa lettera, mi sono lasciata accompagnare da un album intitolato proprio Le cose che ho da dire di Mattia Ferrero, un cantautore della provincia di Cuneo. Se vuoi, puoi ascoltarlo mentre lavori al tuo esercizio.