#26 Capire è sopravvalutato
Perché non siamo Google, non dobbiamo spiegare nulla e possiamo abitare le domande.
Ho perso il conto di quante ore ho passato a cercare di capire le cose.
Chissà perché tizio si è comportato così? Perché mi sveglio alle 5.00 del mattino e non riesco a riaddormentarmi? Come ho fatto a confondere un cetriolo con una zucchina in frigorifero? (Storia vera)
A questi e altri quesiti il mio cervello cerca risposte razionali. Vorrei una soluzione lineare, un senso logico che mi faccia dire: “Ah, ora ho capito tutto”.
Peccato che questo non succeda mai. O forse, per fortuna. Perché, se così fosse, ci perderemmo il piacere della scoperta. Quel cambiamento discreto, quasi impercettibile, che nasce dal saper abitare le domande.
Certo, a volte arrivano le illuminazioni: ciò che fino a poco prima sembrava incomprensibile appare, finalmente, più chiaro. Ma, a pensarci bene, non è quasi mai una questione di testa. È più spesso una questione di corpo, di sentire.
Intelletto vs esperienza
L’intelletto vuole prove, spiegazioni. Vuole mettere ogni cosa al proprio posto: ordinata, etichettata, risolta.
Ma la vita non funziona così. Ciò che davvero ci cambia lo fa in silenzio, mentre viviamo. Arriva al corpo prima che alla testa.
Anche la scrittura, se ci pensi, funziona così. Le parole più vere non nascono dalla volontà di spiegare, ma da un’urgenza, da una voce che scalpita.
Come dico spesso anche ai miei clienti: non siamo Google. Non raccontiamo (solo) per informare, ma piuttosto per entrare in relazione. Lo facciamo portando una nuova prospettiva, suscitando un’emozione, abitando la complessità.
Se ci limitiamo a spiegare, i nostri contenuti possono essere giusti sulla carta, ma non arrivano alle persone. Perché manca il sentire, il vissuto, l’esperienza condivisa che va oltre un concetto ben espresso.
Scrivere è cercare di capire, è cercare di riprodurre l'irriproducibile, è sentire fino all'ultima estremità la sensazione che altrimenti rimarrebbe vaga e soffocante. Scrivere è anche benedire una vita che non è mai stata benedetta.
Clarice Lispector, La passione secondo G.H.
Forse è proprio questo che facciamo ogni volta che raccontiamo: benediciamo ciò che è rimasto senza voce. Diamo forma al vago, corpo al sentire, spazio a ciò che, senza le parole, rischierebbe di restare soffocato.
Amare senza capire
Qualche mese fa ho letto un libro che ho amato molto e di cui ho capito poco.
È “Al faro” di Virginia Woolf, romanzo sperimentale e catartico per l’autrice, che parla di memoria, del tempo che passa, della nostalgia per le persone da cui proveniamo.
La trama è marginale rispetto all’interiorità dei personaggi, che emerge in tutta la sua complessità. Ne risulta uno stile denso, non lineare, che segue più il flusso del pensiero che la logica della narrazione.
Leggendolo, ho attraversato una vasta gamma di emozioni: dalla frustrazione di perdermi in frasi sconnesse, alla commozione di fronte all’esperienza umana condivisa, fino all’entusiasmo per farmi trasportare dal testo, anche senza capirlo completamente.
Da brava maniaca del controllo, quest’ultima parte non è stata semplice. Ho dovuto superare alcune resistenze iniziali: come sempre, volevo capire. Poi mi sono abbandonata per alcuni tratti ed è stato come atterrare in un aeroporto dall’altra parte del mondo, all’inizio di un viaggio. Non sai nulla e sei felice così.
D'un tratto il signor Ramsay, passando, alzò la testa e la fissò con quel suo sguardo stralunato e folle che tuttavia era cosí penetrante, come se ti vedesse, per un attimo, per la prima volta, per sempre; e lei finse di bere dalla tazza vuota per sfuggirgli - per sfuggire alla sua richiesta, per sottrarsi ancora per un momento a quel bisogno imperioso.
Virginia Woolf, Al faro
Esercizi
Da “Sulla fotografia” di Susan Sonntag
Tra la difesa della fotografia come mezzo superiore per esprimere se stessi e l’elogio della fotografia come modo superiore di porre se stessi al servizio della realtà, c'è meno differenza di quanto non paia. Hanno in comune il presupposto che la fotografia offra un sistema unico di rivelazioni: che ci mostri la realtà come non l'avevamo mai vista.
La prossima volta che scrivi un testo o un contenuto, non chiederti solo se si capisce, ma chiediti anche: “Si sente?”, “Dove arriva”, “Cosa rivela di nuovo?”.
Come sempre, ti leggo.
Settimana prossima Ginnastica Letteraria si prende una pausa per partecipare a Procida Racconta, il festival di letteratura organizzato da Chiara Gamberale.
Torniamo venerdì 20 giugno con nuove storie, disagi e tutto ciò che rende vivi ✨
La parte sul bisogno della scrittura la sento molto, come dici tu. Che bello non avere certezze 🌱